Domenica 20 giugno 2004, alle
ore 17,30, a Sant’Agata di Rubiera il Vescovo Mons. Adriano Caprioli presiederà
la solenne concelebrazione nel corso della quale, con il rito di dedicazione
del nuovo altare, riaprirà la chiesa restaurata
Una volta che l'hai scoperta, e
non è cosa facile, non puoi non voler bene a questo edificio nella campagna ora
verde ora nebbiosa; la chiesa è appunto quella dedicata a Sant'Agata,
nell'omonima frazione rubierese; anche il toponimo laico di "Casale"
ha designato per secoli questa fetta di terra, cerniera tra i Comuni di
Rubiera, S. Martino in Rio e Campogalliano.
Terra e lavoro - Parliamo di un territorio abitato e
lavorato fin da tempi molto lontani; ma è dal medioevo che occorre partire
anche per la presenza di qualche "carta". Qui, già intorno all'anno
1041, è documentata la compravendita di terra. Anche Fontana è già nominata in
documenti del periodo e sempre per ragioni di acquisti di terra: si ha così
conferma che ancora prima dell'anno mille la vite veniva coltivata e vi erano
non solo boschi ("silvis") ma anche prati e terre arate.
Chi emerge però, almeno come
centro di controllo di questo territorio, è San Faustino; nel 945 si combatte,
in un tribunale del tempo, tra il Vescovo e un nobile, Rodolfo, per il possesso
della Chiesa e dei suoi diritti. Il Vescovo di Reggio Aribaldo è costretto,
alla fine della lite, a riconoscere a Rodolfo i diritti sulla "capella,
costruita in onore dei Santi Faustino e Giovita, nella località e nel fondo di
Rubiera, con tutti i suoi beni mobili e immobili...".
Credere durante il Medioevo - Cosa ricavarne? Che in tutta
questa zona, nel Medioevo ma certo anche prima, vi era un gran lavorare,
discutere, litigare, comprare e vendere terreni: proprio come adesso. Dal punto
di vista religioso la Pieve
sanfaustinese diventa "matrice", cioè riferimento di altri edifici di
culto, come la chiesa dei Santi Biagio e Donnino "in castello",
quella di Sant'Agata, appunto, e quella dei Santi Fabiano e Sebastiano a
Fontana.
La Chiesa di Sant'Agata è
sicuramente menzionata nel 1186, e non già nel 1145 come vorrebbe il Saccani,
ove il papa Urbano II riconosce l'appartenenza di diverse corti e chiese sotto
l'influenza del Monastero di S. Salvatore di Pavia; tra queste "la corte
di Rubiera e la Pieve
di San Faustino... nella cui parrocchia e territorio ci sono tre cappelle: San
Michele, San Fabiano e Sant'Agata".
Ma prima del Mille?-
È ipotesi fondata che questo territorio, dopo aver risentito del crollo
dell'Impero romano e aver trascorso un periodo di relativo abbandono, sia stato
rivitalizzato dalla presenza dei benedettini; questo spiega il controllo del
Monastero benedettino di S. Salvatore di Pavia sulla pieve di San Faustino,
controllo che si allenta nei secoli, ma che ancora nel XIII secolo imponeva
agli arcipreti sanfaustinesi di ricevere l'assenso per la nomina dall'Abate
pavese, com'è documentato nell'Archivio di Stato di Milano.
È però il particolare culto dei
Santi a fornire la spiegazione più attendibile di quanto avvenuto prima del
mille: in particolare quello di Faustino e Giovita, due Santi che hanno avuto
"fortuna" soprattutto nell'alto Medioevo e nel nord Italia. Basti
solo ricordare che almeno una chiesa o una cappella è stata eretta in loro
onore in ognuna delle diocesi dell'Emilia. La leggenda risale al secolo IX e
vuole che i due giovani, di nobile famiglia, una volta abbracciato il
cristianesimo, non lo abbiano più abbandonato nonostante "una serie
incredibile di torture", per poi essere decapitati nella città lombarda un
15 febbraio al tempo dell'imperatore Adriano.
La leggenda non è attendibile,
come già rilevato dai Bollandisti. Essa, tuttavia, fu il veicolo di un
importante intervento in tutta la zona: prima con i Longobardi e poi con i
Franchi, specie attraverso nobili famiglie che avevano il controllo del
territorio, i benedettini ebbero una sorta di "mandato" diretto al
recupero di queste terre e, in pari tempo, una notevole libertà e tutela
nell'opera di catechizzazione di popolazioni refrattarie al messaggio cristiano.
Gli altri culti delle cappelle
del territorio plebanale sono altrettanto significativi: il 20 gennaio Fontana
celebra la festa dei Santi Fabiano e Sebastiano, il 3 febbraio Rubiera onora
San Biagio, il 5 dello stesso mese viene ricordata Sant'Agata; infine il 15
febbraio San Faustino ricorda i suoi Santi protettori. La singolare vicinanza
di date non è avvenuta oggi, ma è antichissima e quasi "imbriglia" il
territorio. Vi sono poi interessanti analogie: ben tre chiese su quattro hanno
una doppia dedicazione, segno di un intervento di tipo missionario, in ricordo
del brano evangelico della missione in cui Cristo invia a coppie gli apostoli
ad evangelizzare, e dunque indicativa di un ambiente ostico al messaggio
cristiano.
Inoltre i Santi in questione
hanno profonde radici popolari; Sebastiano è il santo trafitto dalle frecce e
che libera dalla peste, Biagio è prodigo di miracoli nei confronti di uomini ed
animali, Donnino è il prototipo del "miles Christi". Anche Agata ha
un largo seguito nei fedeli quale prototipo di una femminilità che si sacrifica
per la fede (elemento identificante sono infatti i seni tagliati). Sono dunque
Santi di largo seguito, ma nello stesso tempo nobili (papi, vescovi, militari,
nobili per condizione o nascita come Agata o i Santi Faustino e Giovita...);
ciò per favorire l'immedesimazione in queste figure ma, al tempo stesso, per
conservare una "distanza" ottimale tra i devoti e la figura che si
onora.
Tra Stiolo e San Faustino – La storia della comunità
cristiana di Sant’Agata è dunque sempre stata legata a quella di San Faustino,
anche se nel cinquecento venne unita alla Parrocchia di Stiolo, pur mantenendo
un proprio edificio di culto; tuttavia anche in questo frangente il sacerdote
preposto a Sant’Agata doveva riferirsi alla plebana per ottenere gli Olii Santi,
segno dell’antica dipendenza.
Le visite pastorali testimoniano
anche di periodi di abbandono dell’edificio di culto (“sta male a porte e
cadenazzi”, a. 1570); Tuttavia tra il sei/settecento la comunità locale trova
le forze per interventi architettonici di rilievo, pur mantenendo l’antico
impianto e l’orientamento dell’abside verso il sorgere del sole, tipico del
romanico (cfr. Visita Marliani a. 1663).
L’interno viene progressivamente
arricchito da stucchi e opere pittoriche (nell’abside una Madonna della Ghiara
con i Santi Agata e Rocco; un San Carlo Borromeo e una Madonna che allatta; due
altari vengono aggiunti lateralmente: uno conserva una tela della Vergine con
Bambino e i Santi Apollonia, Lucia e Antonio mentre l’altro è ora destinato ad
una statua della Madonna del Rosario), ora recuperati grazie all’ottimo lavoro
dei laboratori di restauro Zamboni-Melloni e Carpenito-Notari.
A metà dell’Ottocento e agli inizi del secolo scorso si
continua ad intervenire con abbellimenti decorativi; tra il 1998 e il 2001,
dietro impulso dell’attuale parroco, don Francesco Alberi, si è provveduto al
consolidamento e all’adeguamento antisismico; si è poi proseguito con il
restauro e il recupero di buona parte degli apparati iconografici, sino al
completo ripristino dell’antico pavimento in cotto.
Infine, l’occasione è stata
propizia per un intervento di adeguamento liturgico che ha interessato i poli
celebrativi (altare, ambone, sede del celebrante), alla definizione del quale
si è giunti dopo indagini e studi svolti in costante contatto tra la
committenza, l’Ufficio Beni Culturali, le competenti Soprintendenze (arch.
Elisabetta Pepe e dr. Angelo Mazza e gli architetti Emilia Lampanti e Walter
Zannoni, che hanno progettato e diretto i lavori.
Ora la chiesa di Sant’Agata
ritorna a parlare con i linguaggi dei suoi mille anni di storia ma anche con i
segni, e le speranze, della Chiesa d’oggi che, in tema, si è espressa nel
Concilio Vaticano II e nei documenti dei suoi Vescovi.